Recensione Dimmi
LA RECENSIONE DI TUTTOTEATRO (Anno V – n° 3 – 26 gennaio 2004)
PRATICA 38836: RESPINTA
I colori e i sapori di un mondo in cui convivono tenerezza, ironia e tragedia, e in cui si confrontano e scontrano le due diverse anime, ashkenazita e sefardita, dell’ebraismo, ambedue destinate ad essere sconvolte dalla Shoah, riemerge in Dimmi, il monologo scritto e interpretato da Laura Forti, giovane teatrante fiorentina che esplora con partecipazione appassionata e sofferta la propria identità ebraica
di CLAUDIO FACCHINELLI
Milano – Molti i lavori sul tema della persecuzione antiebraica proposti in occasione della Giornata della Memoria: una istituzione importante, specie in un momento storico nel quale si tende ad omologare, ad appiattire, a cancellare il passato. Forse sarebbe il caso di riflettere per tutto l’anno sulle discriminazioni razziali, sulla violenza dell’uomo sull’uomo, e non limitarsi a lavare la propria coscienza nelle pur opportune scadenze istituzionali. Ciò premesso, in questa inflazione di proposte, spesso di circostanza, credo valga la pena di segnalare il monologo Dimmi, scritto e interpretato da Laura Forti, una giovane teatrante fiorentina che, da qualche anno, esplora con partecipazione appassionata e sofferta la propria identità ebraica.
Lo spettacolo ha diversi pregi, sia nell’originalità della scrittura drammaturgica, sia nelle soluzioni registiche ed attorali. Il testo ha una forte connotazione autobiografica, che l’autrice ed interprete esalta, specie all’inizio, con uno stile comunicativo molto immediato, colloquiale. Lo spunto è offerto dalla legge Terracini, promulgata nel ’55 allo scopo di riconoscere un indennizzo, in forma di modesto vitalizio, ai perseguitati per motivi politici e razziali durante il fascismo, ma di fatto scandalosamente disattesa, per la miope, micragnosa applicazione da parte degli anonimi burocrati che dovevano esaminare le richieste. Fra queste, c’è l’istanza presentata dalla madre dell’autrice, protocollata come pratica 38836 e, come la quasi totalità, a tutt’oggi respinta.
Dalle domande che Laura immagina di rivolgere alla mamma, per la curiosità di sapere, di ricostruire le storie familiari, nei loro particolari (il “dimmi” del titolo, insistito e reiterato come un tormentone), si sviluppa un racconto che risale il suo albero genealogico per tre generazioni, percorse per via matrilineare (di importanza fondamentale nella cultura ebraica, ove si considera ebreo chi è figlio di donna ebrea). In questa evocazione i grandi rivolgimenti che scuotono l’Europa irrompono continuamente nelle vicende minute, domestiche che, lungo l’arco temporale di oltre un secolo, in un susseguirsi via via più avvincente e drammatico, divengono lo specchio opaco e pulsante della grande storia. Grazie all’intelligente regia di Teo Paoli e alla duttilità interpretativa e mimica di Laura Forti, sostenute dalle immagini di vecchie fotografie (per lo più tratte dall’albo di famiglia di Laura) e da suoni registrati (la voce del senatore Terracini, le canzoni fasciste, le rielaborazioni musicali dello stesso Paoli, su temi d’epoca), ci vengono restituiti gli stilemi, i colori e i sapori di un mondo ove convivono tenerezza, ironia e tragedia, ove si confrontano, ed anche si scontrano, le due diverse anime, ashkenazita e sefardita, dell’ebraismo, ambedue destinate ad essere sconvolte dalla Shoah. Il sobrio spazio scenico si popola a poco a poco di una pluralità di figure, di uomini, donne, bambini e vecchi (la nonna Ida, appassionata del Verdi; il nonno Augusto, fornaio divenuto cieco; la bimba che legge Peter Pan sotto il tavolo; l’avo polacco Israel, rabbino ortodosso, in strammel e peot, che dialoga, in un gioco teatrale un po’ alla Fregoli, col figlio socialista), ma anche di personaggi della storia, come un tronfio, romagnolo Benito Mussolini. E infine lo spazio tornerà a svuotarsi, per far posto ad un’immagine fantastica: la figuretta di Peter Pan, simbolo della libertà di volare, che ha unito generazioni di bambini, ebrei e non ebrei, in un identico sogno adolescenziale.